lunedì 25 agosto 2014

Infanzia pistoiese: la scorciatoia

Per giungere alla casa materna, la casa dove ho trascorso buona parte della mia vita, si può usare una scorciatoia fra l'erba, che corre fra le case e il campo sul retro della mia abitazione. Non è certo niente di speciale: una stradicciola, un viottolo di terra battuta, largo meno di cinquanta centimetri tra i cigli erbosi da cui, attraverso il campo di magnolie, vedo il mio prato e le finestre delle camere da letto che vi si affacciano. Eppure ogni volta che vi cammino mi sento di nuovo invasa dal mistero e dall'attesa di quando ero piccola. Credo che la prima persona a mostrarmi il viottolo sia stata mia nonna. Un pomeriggio in cui tornavamo a casa dall'asilo. Senz'altro era piovuto e io indossavo la mantella impermeabile di rosso sgargiante che la nonna mi aveva cucito. Forse era l'inizio della primavera, forse la fine dell'estate. Senz'altro il verde dell'erba era intenso e le gocce d'acqua si trattenevano a fatica sui ramoscelli delle piante attorno.  Dovevo attraversare una soglia senza farmi prendere da spiriti avversi, riconoscendo invece quelli alleati, venuti su dalle piante come una bruma. Prima e dopo il viottolo il mondo normale, degli asili, delle case, delle strade con gli autobus e le macchine. Lì, invece, in quel minuto di passaggio, il mondo sospeso dei sentieri magici, quelli che vanno percorsi in silenzio, dove il tempo smette di esistere finché abbiamo fede. La scorciatoia è un luogo dove non si può passare in molti, non ammette che poche persone alla volta, in fila indiana, sotto lo sguardo dei gatti sul muro o nel campo.  Si diventa personaggi fiabeschi, muti a cercare ortiche, o con uno zaino, una borsa, un paniere pieno di cose preziose solo per noi. Si fa piano. Non si racconta a nessuno. Si ascolta la nostra vita nascosta. 

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